Solstizio con Calvino: ultimi giorni per poter partecipare

@MarcoPoloRoncade

“Senza pietre non c’è arco” spiega Marco Polo al Kublai Kan: a costruire l’arco del dialogo saranno tante voci diverse nell’evento @MarcoPolo_Roncade: solstizio con Calvino – lettura collettiva aperta a tutti di brani tratti da ‘Le città invisibili’ in programma sabato 21 giugno alle 18.30 al Parco del Musestre di Roncade.

Tutti sono invitati a prenotarsi un brano da leggere nell’originale italiano, oppure in una lingua locale o straniera, scrivendo un’email a marcopolo.citta@gmail.com oppure commentando sulla pagina evento in Facebook: @MarcoPolo_Roncade: solstizio con Calvino.

Per chi non avesse sotto mano il testo di Calvino, è possibile scaricarlo qui.

“La partecipazione avviene anche a distanza, grazie all’interazione sui social networks – spiega Maristella Tagliaferro -. Per @MarcoPolo_Roncade finora sono pervenute 26 traduzioni e 5 audioletture in lingue locali e straniere: dall’ebraico al russo e all’angloamericano, dalla lingua greca di Calabria al catanese, dal siciliano al campidanese. Tutte le traduzioni sono pubblicate online“.

Maristella Tagliaferro
Maristella Tagliaferro

L’appuntamento nella Marca costituisce la quarta tappa del progetto @MarcoPolo di Maristella Tagliaferro, partito dai microfoni di Radio Ca’ Foscari e dalle Zattere a Venezia, approdato poi alla Biblioteca nazionale centrale di Roma con i patrocinii del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e del Consiglio d’Europa – Ufficio di Venezia: per il 5 settembre è prevista una tappa all’Istituto Italiano di Cultura di Vienna.

“@MarcoPolo è un viaggio per scrivere insieme nuove pagine di Cultura attraverso la lettura, il canto, il suono di testi diversi, sia letterari che musicali -aggiunge Tagliaferro -. Ogni partecipante è un protagonista e perciò ascolta con attenzione gli altri, impara dal confronto cose nuove. Il progetto ha l’obiettivo di contribuire a creare una comunità della cultura e far rivivere alcuni dei luoghi più belli attraverso le voci di lettrici e lettori”.

 La sfida alle traduzioni a distanza è stata lanciata per la prima volta a marzo per @MarcoPolo_Pinocchio alla BNCR: in dieci giorni sono arrivate 60 traduzioni da vari Paesi europei e da ogni angolo d’Italia, realizzate spesso con la collaborazione tra varie generazioni di una stessa famiglia.

Mille chilometri in bici, lungo fiumi e vie d’acqua

Po di Maistra

25 percorsi ciclabili, per un totale di oltre 1000 chilometri. Siete pronti?

Pronti a mettervi in bici su strade arginali, piste ciclabili o strade a basso traffico e a scoprire le principali vie d’acqua del Triveneto?

Le nostre guide saranno Danilo e Silvamo Prosdocimi che in bicicletta sono andati dalle sorgenti dei fiumi allo sbocco in mare non tralasciando i percorsi all’interno di città storiche come Padova e Verona.

copertinaNel loro libro “Guida alle più belle escursioni in bicicletta lungo fiumi e vie d’acqua” (che arriva al Fle il 21 giugno) non mancano i percorsi lungo le coste e nei parchi naturali fino a toccare le foci dei fiumi dal parco del Delta del Po a quello dell’Isonzo.

Gli itinerari, alla portata di tutti, sono per la maggior parte intorno ai 40 chilometri ciascuno, salvo qualcuno più lungo. Sono tutti ad anello e quindi si possono inizare da un qualsiasi punto del percorso. Molti itinerari hanno inizio da stazioni ferroviarie, per poter raggiungere il luogo di partenza in treno con la bici al seguito.

Prepariamoci.

Il Sile delle cicogne

di macri puricelli
Ogni viaggio è soprattutto un ritorno. Ne sa qualcosa Rodan, il maschio di una coppia di cicogne che per tornare dalla sua Malena percorre ogni anno tredicimila chilometri. Dal Sudafrica al villaggio di Brodski Varos, in Croazia. Tanto innamorato da volare su quello spazio senza fine ormai da cinque anni per ricongiungersi alla compagna che a causa di una vecchia frattura non riesce più a migrare.

nidoLe cicogne vanno e ritornano. Ai loro grandi nidi. Che ogni anno diventano sempre più enormi. All’inizio dell’avventura amorosa pesano una ventina di chili e poi finiscono per arrivare anche a trecento. Come quello che guarda il Sile dall’alto del poderoso camino di casa Menuzzo, a Sant’Elena di Silea.

Anche in questo microcosmo, in questo angolo del Parco regionale, da qualche anno le cicogne vanno e tornano. Alcune restano perché, come Malena, non possono più volare. E allora i volontari della Lipu le ospitano in grandi voliere, con grandi nidi sui trespoli. Le cibano e le curano ogni santo giorno che Dio manda in terra. Altre si spostano di poco. Hanno fatto casa su un traliccio della luce nei vicini paesi di Cendon. Casale. Fino a Santa Cristina dove, all’Oasi di Cervara,

Questa primavera gli avvistamenti di cicogne nel trevigiano sono stati moltissimi. Sono state viste  a Scandolara, comune di Zero Branco, a Roncade, a Catene di Villorba e a Mignagola di Carbonera dove un esemplare, forse un giovane maschio, si è riposato per tutto il pomeriggio sul sagrato della chiesa e poi si è sistemato placidamente su di un lampione della piazza principale. Perfino a Jesolo. Lo stupore di chi ha la fortuna di incontrarle è enorme.

Ma al Centro cicogne di Silea (il Fle vi porterà a visitarlo il 10 giugno) non si stupiscono. E’ dal 1992 che si impegnano per riportare le cicogne a volare lungo il Sile. E ora i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Nel 1992 di cicogne da queste parti non c’era più traccia. Le cronache raccontano che le ultime coppie, lungo il Sile, avevano nidificato a fine ‘600. Poi la storia le ha travolte e l’agricoltura intensiva del primo Novecento impedito ogni sporadico tentativo di nidificazione.

Ci hanno provato ancora negli anni ’60 e ’70, ma senza successo: nonostante la taglia messa sui bracconieri, ogni nido veniva abbattuto e la cicogna finiva uccisa e impagliata. La cicogna è decisamente un uccello socievole, soprattutto durante il periodo riproduttivo. Per questo spesso si costruisce il nido nei paesi.

Ad eccezione di pochissimi appassionati della specie che le accolgono a braccia aperte, non sono più i tempi per il nido sui camini. Magari quelli più tiepidi. Dove la casa che sta sotto è ben riscaldata. Forse perché la padrona aspetta e ha bisogno di calore. Per questo la leggenda popolare vuole le cicogne di buon auspicio per la maternità. Perché amavano farsi il nido sul camino più caldo. Là dove era attesa una nuova vita.

Al di là delle leggende, sono diverse le cause che hanno allontanato la Cicogna bianca dall’Italia. Certo, dicono alla Lipu, fattori determinanti sono stati la caccia e il bracconaggio. Ma non sono queste le uniche cause.

centrococogneLa Cicogna è diminuita moltissimo, o si è addirittura estinta, anche in zone europee dove nessuno mai la ucciderebbe. Fino agli inizi del secolo scorso era presente in tutta l’Europa centrale. Poi ha cominciato inesorabilmente a diminuire in Svezia, Olanda, Svizzera, Belgio. Perfino in Germania, Francia e Danimarca. Per capire le cause del fenomeno, spiegano gli ornitologi che ne seguono il volo, occorre ricordare che esistono due popolazioni di Cicogne bianche nidificanti in Europa: quella “occidentale” e quella “orientale”.

La popolazione occidentale nidifica in Marocco, Algeria, Tunisia, Portogallo, Spagna, Francia (Alsazia), Germania ovest (Baden-Wuttemberg). Migra attraverso lo stretto di Gibilterra raggiungendo l’Africa occidentale a sud del Sahara, soffermandosi in particolare nella fascia del Sahel. Una parte sverna anche nella penisola iberica e in Nord Africa.

La grave decimazione della specie si è verificata interamente a carico di questa popolazione occidentale le cui rotte migratorie attraversano regioni, come Francia e Spagna, dove la caccia è assai intensa. Quando riescono a evitare le doppiette e a raggiungere i territori di svernamento in Africa occidentale, le Cicogne lì non trovano più una delle loro fonti preferiti di cibo: i grandi sciami di locuste che vagavano rumorosi nelle steppe e nelle savane.

Oggi parte di quel territorio è stato trasformato in coltivazioni per lo più trattate con veleni. Le bianche cicogne che si rimettono in volo per tornare verso Nord, subiscono un altro inevitabile attacco dei cacciatori e, nella migliore delle ipotesi, giungono nelle zone di nidificazione in condizioni fisiche non ottimali per iniziare la fatica riproduttiva. La popolazione orientale, oltre a essere più fortunata (le rotte sono più protette dai cacciatori), arriva invece nelle zone di svernamento all’ inizio della stagione delle piogge e ciò permette loro di trovare un alimento abbondante e diversificato.

A tutto ciò vanno aggiunti i problemi legati alla possibilità di nidificazione. Negli ultimi decenni larghe estensioni di zone umide sono state trasformate in monocolture cerealicole in cui si fa ampio utilizzo di veleni. Un’altra grave causa di mortalità è poi la folgorazione causata dalle linee ad alta tensione su cui si posano.

“Lungo il Sile – racconta Paolo Vacilotto, il volontario della Lipu che fin dall’inizio segue il Centro – ormai ce ne sono una decina che se ne vanno e poi ritornano. Ma in questi anni ne abbiamo rilasciate almeno cinquanta. Non tutte rimangono. La maggior parte vola verso altri luoghi e solo ogni tanto le rivediamo qui, attratte dall’ultima selvaticità di queste sponde. Quelle che per vari motivi non riescono più a volare le teniamo nelle voliere. Fanno da richiamo alle loro compagne”.

Il suo canto non è una melodia. Nulla a che vedere con il merlo o l’usignolo. Lei picchia il becco e il suono che ne nasce è uguale a quello delle nacchere. Forte, ripetitivo, ritmico. Quasi ossessivo. Sembra un grido di battaglia che aumenta mano a mano che la grande creatura bianca si avvicina ai compagni. O solo ne avverte la presenza al di sopra della gabbia. Oltre i rami degli alberi più alti. Verso le nuvole. E allora, alzi gli occhi al cielo e scorgi la sagoma allungata che viaggia nell’aria. Sa dove andare e raramente si cura del richiamo delle consorelle non più capaci di raggiungere le nuvole.

Sono grandi e bianche le cicogne con le piume delle remiganti nere. In volo hanno un’eleganza rara. Da ferme, appollaiate sul nido ossuto, perdono morbidezza e quasi incutono timore. Qualche volta appare qui lungo il Sile anche la cicogna nera che è una gran bellezza. A fine agosto, ogni anno, le cicogne del Sile iniziano il lungo viaggio di ritorno. Volano verso il Sud d’Italia. Si spingono fino al Nord Africa. Lì trascorreranno l’inverno prima di riprendere il cammino a ritroso. Torneranno sul Sile verso marzo e aprile. Giusto in tempo per metter su famiglia.

La Cicogna bianca, che controlla l’oasi dall’alto del suo grande nido, appartiene alla famiglia Ciconiidae, che comprende quei grandi uccelli trampolieri che frequentano paludi, prati e zone boscose. Non è difficile da riconoscere: può essere tanto grande da raggiungere il metro di altezza con un apertura alare di 2 metri. Può pesare anche 4 chilogrammi.

Non è un caso che il nido più grande lungo il Sile domini questi 4 ettari di oasi dall’alto di casa Menuzzo, nota famiglia di imprenditori trevigiani. Non è un caso perché – situazione abbastanza unica sia nel Veneto che in Italia – artefice illuminato e di fatto sponsor unico, decisamente discreto, del Centro Cicogne è il signor Angelo, grande appassionato di natura.

Quando negli anni Ottanta acquistò questo luogo, c’erano solo campi desolati e incolti. Dove l’unica bellezza la regalava il Sile. Poi tutto attorno sono sorti capannoni industriali. Qui si incrociano le aree artigianali e commerciali di alcuni paesi alle porte di Treviso. Ma appena ti lasci alle spalle quell’omonimo e quasi invisibile cancello che si apre lungo la strada provinciale, sembra di entrare in un altro mondo.

Oggi l’oasi è un piccolo gioiello di biodiversità. Non solo cicogne, ma anche uno stagno che è un vero e proprio giardino botanico acquatico con specie originarie delle sponde del fiume, che erano scomparse e che la pazienza dei volontari ha riportato alla vita. Il Pentia, affluente del Sile, attraversa l’oasi e ospita ancora i gamberi. Quelli di fiume. Quelli che un tempo abitavano i fossati che accompagnano buona parte del Sile.

Il rarissimo Marangone minore guarda a vista, dall’alto di un albero, i pesci dello stagno. Il Martin Pescatore, allegro e variopinto, ogni tanto appare in veloce volo di ricognizione. Due cavalli e un asino si godono la libertà, estate e inverno, protetti da un recinto elettrificato. Ti guardano e sospirano. Consapevoli della loro somma fortuna. Qualche scoiattolo salta da un ramo all’altro di una vecchia quercia.

Visita il centro “Le cicogne del Sile”

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Il vecio marin: la foca monaca fra laguna e Istria

foca monaca

di macri puricelli
ll vecio marin, così i veneziani della Serenissima chiamavano le foche, tornerà in laguna anche quest’anno? Chissà. Noi lo aspettiamo ricordando le numerose apparizioni dell’estate 2013.

Aveva fatto capolino vicino a Poveglia in un tratto particolarmente limpido: lui era lì, con quella testina rotonda, gli occhi sbalorditi e il corpo di colore grigio-beige. Vicino al canale naturale Perarolo profondo 5 metri e non lontano da un’isola abbandonata.

Un altro esemplare, forse un maschio adulto, era stato visto da un surfista davanti alla spiaggia di Bibione. Nuotava veloce in direzione di Venezia e l’incontro è stato così ravvicinato che il surfista ha potuto fornire agli esperti una descrizione esatta.

Dieci avvistamenti senza foto. Fino alla prova di agosto raccolta da una coppia di Campodarsego in vacanza all’Isola Verde a Chioggia. Un breve filmato che aveva cancellato ogni dubbio: la foca stava passeggiando serena in laguna.

C’è un grosso interesse nella comunità scientifica per questa foca veneziana. Non solo per il numero di avvistamenti in pochi giorni, ma anche perché nell’intero Mediterraneo occidentale di foche monache ce ne saranno in tutto circa 450.

La foca monaca in una stampa antica
La foca monaca in una stampa antica

Nonostante i continui avvistamenti anche nell’alto Adriatico (il gruppo Foca monaca Croazia della biologa di Zagabria, Jasna Antolovic, tra il 2004 e il 2010 ne ha contati 48)secondo alcuni la specie è considerata a rischio di estinzione.

Non la pensa così Emanuele Coppola (ospite del Fle martedì 10 giugno) che da anni la rincorre fra Adriatico e Tirreno e che ha raccolto innumerevoli immagini e testimonianze della sua presenza sulle coste italiane e croate.

Cacciata per secoli per via della sua necessaria smania di pesce, attività antagonista dell’umano, la Monaca ha condiviso la triste sorte del Cormorano (tornato alla grande) e della Lontra (primi avvistamenti recenti in Friuli).

C’è un legame storico che unice i veneziani alla foca monaca. Gli esemplari che venivano catturati sulla sponda orientale dell’Adriatico, spesso venivano portati a Venezia e qui addomesticati ed esposti al pubblico. Qualche volta partivano anche in tournée spingendosi fino in Francia e Germania.

Fu così che un giorno di fine ottobre del 1778 giunse a Strasburgo un gruppo di veneziani con foca. Furono loro ad assicurare Johann Hermann, sconosciuto scienziato alsaziano, che si trattava di un “vitello di mare” e quindi di una Phocavitulina ovvero la Foca comune del nord.

Ma Hermann conosceva bene quelle foche nordiche e si accorse che i veneziani avevano catturato, proprio a Cherso, un animale sconosciuto. Lo scienziato pubblicò la descrizione della specie nel 1779 e, ispirato dal colore del mantello bruno scuro, decise di chiamarla Münchs-Robbe – Phoca monachus.

Un mare di plastica: incontro con Nicolò Carnimeo

copertinadi macri puricelli
Nell’oceano Pacifico, fra la California e le Hawai, c’è un’isola di plastica. Grande come l’Europa. Fatta di tutti quegli oggetti che noi abitanti di questo mondo abbiamo gettato in mare. Giorno dopo giorno.

Nessuno se n’era mai accorto. Eccetto un capitano-falegname inglese con la passione del mare. A 60 anni, approfittando di un lascito, il capitano-falegname si è messo per mare per difenderlo. Un bel giorno in una regata si addormenta e il pilota automatico lo porta fuori rotta e scopre quest’isola, monumento alla nostra incapacità di difendere il pianeta.

Quello con il capitano Charles Moore è uno degli incontri che Nicolò Carnimeo, giornalista e docente universitario a Bari (ospite di Fle domenica 8 giugno) , ha voluto fare per costruire un libro inchiesta che ci inchioda: “Come è profondo il mare”, edizioni Chiarelettere, uscito lo scorso gennaio.

Carnimeo, sostiene il meteorologo Luca Mercalli nella prefazione al volume, descrive “una realtà inquieta e poco nota, nascosta negli abissi marini”. E ce la racconta molto bene, con grande competenza e puntualità, lanciando l’allarme sul livello di inquinamento raggiunto dei nostri mari.

I suoi reportage ci offrono l’immagine di un mare come immensa discarica. Un mare che diventa testimone muto e vittima del modo in cui abbiamo scelto di vivere.

Carnimeo non ha mezzi termini quando scrive e mette in ordine una grande quantità di dati, incontri, prove, testimonianze. Questo è un libro diretto e quasi sfacciato che accusa il mondo di aver trattato il mare come un’immensa pattumiera a prova di ogni nefandezza.

E invece i nostri mari soffrono. La vita degli abissi è in pericolo. La nostra stessa sopravvivenza è minacciata.

La scommessa, in un ambiente minacciato e assediato, resta sempre la stessa: sopravvivere a noi stessi.