di macri puricelli
Ogni viaggio è soprattutto un ritorno. Ne sa qualcosa Rodan, il maschio di una coppia di cicogne che per tornare dalla sua Malena percorre ogni anno tredicimila chilometri. Dal Sudafrica al villaggio di Brodski Varos, in Croazia. Tanto innamorato da volare su quello spazio senza fine ormai da cinque anni per ricongiungersi alla compagna che a causa di una vecchia frattura non riesce più a migrare.
Le cicogne vanno e ritornano. Ai loro grandi nidi. Che ogni anno diventano sempre più enormi. All’inizio dell’avventura amorosa pesano una ventina di chili e poi finiscono per arrivare anche a trecento. Come quello che guarda il Sile dall’alto del poderoso camino di casa Menuzzo, a Sant’Elena di Silea.
Anche in questo microcosmo, in questo angolo del Parco regionale, da qualche anno le cicogne vanno e tornano. Alcune restano perché, come Malena, non possono più volare. E allora i volontari della Lipu le ospitano in grandi voliere, con grandi nidi sui trespoli. Le cibano e le curano ogni santo giorno che Dio manda in terra. Altre si spostano di poco. Hanno fatto casa su un traliccio della luce nei vicini paesi di Cendon. Casale. Fino a Santa Cristina dove, all’Oasi di Cervara,
Questa primavera gli avvistamenti di cicogne nel trevigiano sono stati moltissimi. Sono state viste a Scandolara, comune di Zero Branco, a Roncade, a Catene di Villorba e a Mignagola di Carbonera dove un esemplare, forse un giovane maschio, si è riposato per tutto il pomeriggio sul sagrato della chiesa e poi si è sistemato placidamente su di un lampione della piazza principale. Perfino a Jesolo. Lo stupore di chi ha la fortuna di incontrarle è enorme.
Ma al Centro cicogne di Silea (il Fle vi porterà a visitarlo il 10 giugno) non si stupiscono. E’ dal 1992 che si impegnano per riportare le cicogne a volare lungo il Sile. E ora i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Nel 1992 di cicogne da queste parti non c’era più traccia. Le cronache raccontano che le ultime coppie, lungo il Sile, avevano nidificato a fine ‘600. Poi la storia le ha travolte e l’agricoltura intensiva del primo Novecento impedito ogni sporadico tentativo di nidificazione.
Ci hanno provato ancora negli anni ’60 e ’70, ma senza successo: nonostante la taglia messa sui bracconieri, ogni nido veniva abbattuto e la cicogna finiva uccisa e impagliata. La cicogna è decisamente un uccello socievole, soprattutto durante il periodo riproduttivo. Per questo spesso si costruisce il nido nei paesi.
Ad eccezione di pochissimi appassionati della specie che le accolgono a braccia aperte, non sono più i tempi per il nido sui camini. Magari quelli più tiepidi. Dove la casa che sta sotto è ben riscaldata. Forse perché la padrona aspetta e ha bisogno di calore. Per questo la leggenda popolare vuole le cicogne di buon auspicio per la maternità. Perché amavano farsi il nido sul camino più caldo. Là dove era attesa una nuova vita.
Al di là delle leggende, sono diverse le cause che hanno allontanato la Cicogna bianca dall’Italia. Certo, dicono alla Lipu, fattori determinanti sono stati la caccia e il bracconaggio. Ma non sono queste le uniche cause.
La Cicogna è diminuita moltissimo, o si è addirittura estinta, anche in zone europee dove nessuno mai la ucciderebbe. Fino agli inizi del secolo scorso era presente in tutta l’Europa centrale. Poi ha cominciato inesorabilmente a diminuire in Svezia, Olanda, Svizzera, Belgio. Perfino in Germania, Francia e Danimarca. Per capire le cause del fenomeno, spiegano gli ornitologi che ne seguono il volo, occorre ricordare che esistono due popolazioni di Cicogne bianche nidificanti in Europa: quella “occidentale” e quella “orientale”.
La popolazione occidentale nidifica in Marocco, Algeria, Tunisia, Portogallo, Spagna, Francia (Alsazia), Germania ovest (Baden-Wuttemberg). Migra attraverso lo stretto di Gibilterra raggiungendo l’Africa occidentale a sud del Sahara, soffermandosi in particolare nella fascia del Sahel. Una parte sverna anche nella penisola iberica e in Nord Africa.
La grave decimazione della specie si è verificata interamente a carico di questa popolazione occidentale le cui rotte migratorie attraversano regioni, come Francia e Spagna, dove la caccia è assai intensa. Quando riescono a evitare le doppiette e a raggiungere i territori di svernamento in Africa occidentale, le Cicogne lì non trovano più una delle loro fonti preferiti di cibo: i grandi sciami di locuste che vagavano rumorosi nelle steppe e nelle savane.
Oggi parte di quel territorio è stato trasformato in coltivazioni per lo più trattate con veleni. Le bianche cicogne che si rimettono in volo per tornare verso Nord, subiscono un altro inevitabile attacco dei cacciatori e, nella migliore delle ipotesi, giungono nelle zone di nidificazione in condizioni fisiche non ottimali per iniziare la fatica riproduttiva. La popolazione orientale, oltre a essere più fortunata (le rotte sono più protette dai cacciatori), arriva invece nelle zone di svernamento all’ inizio della stagione delle piogge e ciò permette loro di trovare un alimento abbondante e diversificato.
A tutto ciò vanno aggiunti i problemi legati alla possibilità di nidificazione. Negli ultimi decenni larghe estensioni di zone umide sono state trasformate in monocolture cerealicole in cui si fa ampio utilizzo di veleni. Un’altra grave causa di mortalità è poi la folgorazione causata dalle linee ad alta tensione su cui si posano.
“Lungo il Sile – racconta Paolo Vacilotto, il volontario della Lipu che fin dall’inizio segue il Centro – ormai ce ne sono una decina che se ne vanno e poi ritornano. Ma in questi anni ne abbiamo rilasciate almeno cinquanta. Non tutte rimangono. La maggior parte vola verso altri luoghi e solo ogni tanto le rivediamo qui, attratte dall’ultima selvaticità di queste sponde. Quelle che per vari motivi non riescono più a volare le teniamo nelle voliere. Fanno da richiamo alle loro compagne”.
Il suo canto non è una melodia. Nulla a che vedere con il merlo o l’usignolo. Lei picchia il becco e il suono che ne nasce è uguale a quello delle nacchere. Forte, ripetitivo, ritmico. Quasi ossessivo. Sembra un grido di battaglia che aumenta mano a mano che la grande creatura bianca si avvicina ai compagni. O solo ne avverte la presenza al di sopra della gabbia. Oltre i rami degli alberi più alti. Verso le nuvole. E allora, alzi gli occhi al cielo e scorgi la sagoma allungata che viaggia nell’aria. Sa dove andare e raramente si cura del richiamo delle consorelle non più capaci di raggiungere le nuvole.
Sono grandi e bianche le cicogne con le piume delle remiganti nere. In volo hanno un’eleganza rara. Da ferme, appollaiate sul nido ossuto, perdono morbidezza e quasi incutono timore. Qualche volta appare qui lungo il Sile anche la cicogna nera che è una gran bellezza. A fine agosto, ogni anno, le cicogne del Sile iniziano il lungo viaggio di ritorno. Volano verso il Sud d’Italia. Si spingono fino al Nord Africa. Lì trascorreranno l’inverno prima di riprendere il cammino a ritroso. Torneranno sul Sile verso marzo e aprile. Giusto in tempo per metter su famiglia.
La Cicogna bianca, che controlla l’oasi dall’alto del suo grande nido, appartiene alla famiglia Ciconiidae, che comprende quei grandi uccelli trampolieri che frequentano paludi, prati e zone boscose. Non è difficile da riconoscere: può essere tanto grande da raggiungere il metro di altezza con un apertura alare di 2 metri. Può pesare anche 4 chilogrammi.
Non è un caso che il nido più grande lungo il Sile domini questi 4 ettari di oasi dall’alto di casa Menuzzo, nota famiglia di imprenditori trevigiani. Non è un caso perché – situazione abbastanza unica sia nel Veneto che in Italia – artefice illuminato e di fatto sponsor unico, decisamente discreto, del Centro Cicogne è il signor Angelo, grande appassionato di natura.
Quando negli anni Ottanta acquistò questo luogo, c’erano solo campi desolati e incolti. Dove l’unica bellezza la regalava il Sile. Poi tutto attorno sono sorti capannoni industriali. Qui si incrociano le aree artigianali e commerciali di alcuni paesi alle porte di Treviso. Ma appena ti lasci alle spalle quell’omonimo e quasi invisibile cancello che si apre lungo la strada provinciale, sembra di entrare in un altro mondo.
Oggi l’oasi è un piccolo gioiello di biodiversità. Non solo cicogne, ma anche uno stagno che è un vero e proprio giardino botanico acquatico con specie originarie delle sponde del fiume, che erano scomparse e che la pazienza dei volontari ha riportato alla vita. Il Pentia, affluente del Sile, attraversa l’oasi e ospita ancora i gamberi. Quelli di fiume. Quelli che un tempo abitavano i fossati che accompagnano buona parte del Sile.
Il rarissimo Marangone minore guarda a vista, dall’alto di un albero, i pesci dello stagno. Il Martin Pescatore, allegro e variopinto, ogni tanto appare in veloce volo di ricognizione. Due cavalli e un asino si godono la libertà, estate e inverno, protetti da un recinto elettrificato. Ti guardano e sospirano. Consapevoli della loro somma fortuna. Qualche scoiattolo salta da un ramo all’altro di una vecchia quercia.
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